Scrivono i Prof

Qualsiasi riferimento è puramente... voluto

Scritto da prof.ssa Luisella Saro il 12 Aprile 2010.

Qualsiasi riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente…voluto. Ovviamente non citerò le persone; mi limiterò a raccontare i fatti.
Un giorno sono entrata in una classe a sostituire una collega assente ed ho tentato un esperimento. Ho chiesto che ciascuno studente prendesse il proprio cellulare e lo appoggiasse sopra il banco, così com’era: senza, cioè, spegnerlo se acceso, o se silenzioso ma in vibrazione, o silenzioso e muto. Qualcuno ha cacciato le mani in tasca, altri dentro l’astuccio, qualcuno dentro lo zaino e siccome i ragazzi, quando spieghi loro le ragioni di ciò che ti accingi a fare, sono serissimi, i cellulari sono usciti allo scoperto così com’erano. Solo tre erano spenti; tutti gli altri, pur silenziosi, erano accesi, accesissimi e pronti all’uso.


Due tra i commenti degli studenti: “Ma dai, prof.! Silenziosi, mica disturbano!”…“Al massimo uno impiegherà trenta secondi, se deve leggere un sms! Non è certo questo a farci perdere la concentrazione!”…
Col cellulare sul banco, il passaggio successivo è stato un breve sondaggio: “Vuoi mai - mi sono chiesta - che in questa classe che non conosco ci sia qualche cardiochirurgo che DEVE tenere il cellulare acceso notte e giorno, perché è in attesa di un cuore da espiantare/impiantare?”.
No. Nessun cardiochirurgo in erba. Nessuna nonna malatissima. Nessun ‘moroso’ (nel senso di fidanzato) al fronte. Nessuna finale dei campionati del mondo di calcio. Nessun gatto in fin di vita sotto i ferri del veterinario.
Insomma: nessuna emergenza.
Eppure…
Eppure solo tre cellulari spenti in una classe di ventitré allievi.
C’è una norma emanata dal Ministero, che vieta l’uso dei telefonini in classe. Cartelli appesi alle pareti dei corridoi della scuola ne riportano il contenuto, comprese le sanzioni per i trasgressori. Anche il regolamento d’Istituto si occupa della questione.
Ovviamente non è della norma e/o della sua violazione che mi interessa parlare, perché il compito di una legge è regolamentare, non educare; come insegnante desidero soffermarmi invece sul ruolo dell’adulto come educatore, e cioè sull’amara, anzi amarissima constatazione che scaturisce nel vedere il genitore che delega agli insegnanti, gli insegnanti che delegano ai presidi, i presidi che delegano allo Stato un compito ed una responsabilità che…viene prima e dentro la famiglia, prima e dentro la scuola. Altrimenti la legge non serve a nulla.
Se l’adulto non vuole o non sa dare ragione delle regole e dei divieti, se non vuole o non sa più dire ad un ragazzo come comportarsi e delega ad altri l’autorevolezza, insegnerà allo studente la delega e non l’assunzione di responsabilità, mentre mi par quasi di dire un’ovvietà se ricordo che una scuola deve farsi carico della formazione umana e civile dello studente, prima ancora che della sua “istruzione”.
Ma ecco, ahimè, le dolenti note. Ovvio che l’adulto che, “ex cathedra”, magari in ottemperanza al regolamento d’Istituto, trasmette ammonimenti o spiega diritti e doveri, è opportuno che per primo li metta in pratica, perché non c’è peggior cosa di leggere i cartelli di divieto dell’uso del cellulare in classe, che pur sono appiccicati un po’ qui e un po’ lì, o ascoltare il predicozzo d’inizio d’anno del prof. , e poi sentire squillare in classe…il suo cellulare.
E’ capitato. Capita. Lo dicono i ragazzi e io ai ragazzi credo.
Siccome l’insegnante è educato - lui! - ipotesi uno: diventa rosso come un peperone, chiede scusa per aver dimenticato acceso il telefonino, lo spegne e…può capitare. Errare humanum est.
Ipotesi due: cortesemente chiede scusa ai ragazzi, magari strizzando l’occhietto per farsi vedere “uno come loro”, e poi si intrattiene in un’amabile seppur veloce chiacchierata di piacere con un/una conoscente, o in una conversazione di lavoro (di un SECONDO lavoro) con un collega. Capitato pure questo. Lo dicono i ragazzi e, come detto prima, io ai ragazzi credo.
Diabolicum.
Diabolicum e pure “in-credibile”, nel senso letterale di “non credibile”.
E’ un insegnante che in una sola azione ha azzerato la sua credibilità di adulto, di “maestro”, di punto di riferimento da cui imparare a...vivere.
Da uno così, al massimo si impara a diventare dei “furbetti”, ma questo è un insegnamento che già sufficientemente ed esuberantemente impartisce il mondo “fuori” della scuola. Non c’è bisogno che “entri” nella scuola, magari pure sotto le mentite spoglie di un insegnante!
Se la scuola non sa imporre telefonini spenti e chiusi nelle cartelle, dopo aver dato motivazione ai divieti e fornito l’esempio di adulti che quelle regole le hanno fatte loro e le mettono in pratica per primi, non svolge uno dei suoi compiti primari. Punto e a capo. Il resto viene dopo.

Ricordo e sorrido. Lo scorso anno, nella quarta che ora è una quinta alle soglie degli esami di Stato, su una parete c’era un foglio bello grande con una scritta multicolor: “TyrannoSarus-lex”.
C’est moi: la prof. Saro.
L’ho visto ed ho riso insieme ai ragazzi. L’abbiamo lasciato appeso tutto l’anno e giuro che, l’ultimo giorno di scuola, me lo sarei portato a casa per ricordo. Non mi sono offesa; ne andavo orgogliosa.
“Bella roba!”, potrebbe commentare il “collega politically correct”: il fratello più grande-amico-pacca sulla spalla-compagno di merende (e di cellulari accesi) dell’adolescente a cui insegna, stipendiato, un po’ di tutto, un po’ di niente.
(Non si offendano i colleghi del “Belli”: il Giornalino è on-line e capiterà pure qualche insegnante, paziente lettore di questo articolo, che rientra nella categoria sopracitata; mica per forza dev’essere un insegnante di questa scuola o di un Istituto di Portogruaro… Ovvio che quando parlo degli altri, parlo “in generale”…).
Quando parlo di me, parlo…di me. Nome e cognome.
Il “TyrannoSarus-lex” il primo giorno di scuola, da che esistono i cellulari, ogni anno spiega agli studenti il non-senso dei telefonini accesi durante le ore di scuola, spiega che, nonostante i “tagli”, ancora alla scuola non hanno tagliato…i cavi del telefono, per cui, in caso di emergenza, esiste il telefono fisso e, dopo la chiacchierata, già il secondo giorno di scuola, sulla cattedra del “TyrannoSarus” c’è una bellissima scatola variopinta preparata da una studentessa creativa, che diventa la culla e la custodia di cellulari, I-Pod, Mp3 e chincaglieria varia, magari utile fuori dalla scuola, assolutamente inutile dentro la scuola.
Ogni tanto il “TyrannoSarus” fa l’appello dei cellulari, qualche volta li conta, giuro che non ne ha mai rubato nessuno e i ragazzi sanno che, vicini-vicini, i loro telefonini non soffrono nemmeno di solitudine, di tristezza, di nostalgia.
A volte la decisione della “scatola” è condivisa dal Consiglio di classe, altre volte no.
Questione di punti di vista sul ruolo e la responsabilità degli adulti a scuola. Anzi no: sul ruolo e la responsabilità degli adulti che vedono la scuola come palestra di vita. Anzi no. Voglio essere chiarissima ed ho deciso che semplifico all’osso.
Questione di punti di vista sulla vita.



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