Foodprint: l’impronta alimentare
Scritto da Elisa Sipos, 1CL il 23 Giugno 2011.
Il giorno 3 giugno 2011 si è tenuto un incontro al Teatro”L. Russolo” col professor Marco Pagani (fisico) organizzato da ETICA-mente. L'argomento principale trattava dell'impronta alimentare (in inglese foodprint).
Io, insieme a due mie compagne della classe 1CL, abbiamo accolto l’invito della nostra insegnante di geografia, E. Ortis, a partecipare alla conferenza perché la tematica, trattata in classe, ci aveva particolarmente interessato.
Il professor Pagani ha iniziato ricordandoci l’esistenza del limite e la necessità di tenerne conto. Anche se "la modernità industriale lo ha perso, esso non è scomparso", anzi è un aspetto fondamentale.
Nell'uso delle risorse non rinnovabili (come anche in economia ) è sempre presente il picco di Hubbert dove c'è una risalita seguita da una discesa. Questo è molto importante per capire cosa accadrà in futuro.
L'agricoltura di oggi è ormai molto meccanizzata e richiede l'uso di centinaia di sostanze chimiche. Si ha una maggiore produzione però il terreno viene sempre più impoverito e quando non sarà più utilizzabile ci vorranno secoli perché torni ad essere fertile.
Lo stesso picco si ripresenta per il petrolio e il gas: ci sarà un riduzione delle disponibilità; per di più il costo dei prodotti agricoli segue quello del petrolio.
Arrivati a questo punto della riflessione, il professore ha parlato del foodprint, ovvero dell’ impronta agricola-alimentare, cioè quanto territorio coltivabile è utilizzato da ogni individuo per la sua sopravvivenza (bisogna far conto che oltre il 90% del nostro nutrimento proviene dalla terra).
In Italia servono circa 2740mq procapite, di cui solo 1600mq sono disponibili nel territorio nazionale e per il resto come si fa? Si va a consumare la terra degli altri Paesi, al primo posto dell'Argentina e del Brasile, da cui si importa soprattutto soia e mais.
Ora il mais serve anche per creare energia come il bioetanolo o anche biomateriali.
Tornando ai nostri consumi si nota che ci sono moltissimi sprechi con conseguenze negative anche per la nostra salute.
La proposta è quella di cambiare tipo di alimentazione, con una riduzione di consumi di prodotti derivanti da animali e utilizzare il più possibile prodotti del territorio a km 0. Così si può promuovere la sovranità alimentare e migliorare la nostra vita e quella delle generazioni future.