Esami? Un abbraccio al reale
Scritto da prof.ssa Luisella Saro il 03 Maggio 2010.
C’è chi è già partito con il “conto alla rovescia”, in attesa impaziente che si spalanchi il portone del “Belli” e la freccia (rigorosamente a senso unico) indichi l’uscita e dunque le vacanze, e c’è chi, invece, vorrebbe poter fermare il tempo, perché gli esami, davvero, cominciano ad essere fastidiosamente troppo vicini.
Vicino è pure il 15 maggio, data in cui in tutta Italia uscirà il documento delle classi quinte. Data che ineluttabilmente ti para di fronte agli occhi l’evidenza che, di lì a poco, pochissimo, finite le lezioni, cominceranno le prove scritte e poi gli orali e necessariamente dovrai dare il meglio.
Una volta (ma si parla dei “miei” tempi, e dunque del Giurassico), il primo incontro/scontro con gli esami era in seconda elementare; poi c’erano gli esami di quinta e poi quelli di terza media e magari, tra l’uno e l’altro, qualche saggio sportivo o qualche esame di musica e, a diciott’anni, si arrivava all’esame - che all’epoca si chiamava “di maturità” e non “di Stato” - con la stessa ansia e la stessa trepidazione di oggi, ma forse un po’ più allenati.
Ora sembra tutto più difficile, perché, diciamocelo, di allenamento se ne fa ben poco: l’allenamento, si sa, costa fatica e pure un po’ di stress, e chissà perché gli adulti di oggi si son fatti l’idea - sbagliata – che per farli crescere sereni e senza traumi, ai giovani, poverini, la fatica vada risparmiata.
Pure le simulazioni di prima, seconda e terza prova previste dalla normativa, andando a curiosare e a rubare pareri qua e là tra le scuole, a volte han più l’aspetto della scampagnata in allegria, che quello di un serio allenamento (e ridagliela!) in vista di ciò che accadrà tra la fine di giugno e i primi di luglio. E poi vaglielo a spiegare tu, agli studenti, che quella di fine giugno, con un presidente di commissione e due commissari mai visti prima, sarà tutto, tranne che una scampagnata in allegria!
Inizia dunque maggio e, con lui, per gli studenti di quinta, l’urgenza di completare l’approfondimento per l’esame e magari il rimorso di non aver dato retta ai prof. e di non aver studiato “quel” capitolo quando sarebbe stato opportuno farlo, e la percezione di essere indietro-indietro su tutto: programmi, ripasso, recuperi, conoscenze, competenze…
Indietro e, insieme, troppo avanti, perché il tempo stringe.
E allora ti guardi intorno e vedi lo studente-cicala, che tenta in tutti i modi la sua corsa contro il tempo, o magari non lo vedi più, perché, come prevede la legge, ha pensato bene di ritirarsi entro il 15 marzo.
E poi vedi lo studente-formichina, che, “paura” a parte (gli esami son sempre esami!), ha lo sguardo un po’ più sereno, perché a scuola, in questi mesi e in questi anni, ci è stato davvero. Con “attenzione” e con “tensione” (“ad-tendere”): tensione all’incontro con la realtà e dunque con l’umano che è stato per lui possibile scorgere nei volti dei compagni e dei docenti, o nelle materie studiate; in una tradizione che di generazione viene trasmessa perché si rinnovi e prenda vigore.
Lo studente-formichina, in questo modo, è cresciuto un po’ al giorno: ha imparato tante cose, ma soprattutto ha colto, aiutato, tutte le occasioni per sentir ridestare in sé l’esigenza di vero, di bello, di giusto, di amore, di felicità, di realizzazione di sé, e per provocare la propria capacità critica e la propria libertà.
Lo studente-formichina, aiutato, non ha solo imparato un po’ di matematica, o di letteratura italiana, o di filosofia, o di scienze sociali, o una lingua straniera meglio di un’altra, ma, passo dopo passo, ha acquisito un metodo e cioè una strada per entrare nel reale, con uno sguardo positivo sulle persone e sulle cose.
Perché la scuola, innanzitutto, serve a questo. Perché all’esame, innanzitutto, è questo che si verificherà.
E pure finito l’esame, quando sarà la vita a mettere alla prova e a vedere chi sta in piedi e chi no; e come si sta in piedi: se dritti, in equilibrio, o traballanti.
E allora un consiglio.
Va bene il ripasso delle singole discipline; giusto-giustissimo rivedere i nodi concettuali delle diverse materie, ma ora fidatevi e…fate un passo indietro.
So che non si studia Storia dell’arte nel nostro Istituto e chi mi conosce sa quanto mi dispiaccia e quante sono state le occasioni in cui, nelle mie lezioni, l’arte, uscita dalla porta, è rientrata dalla finestra, protagonista.
Pensate al “Pointillisme”, o al “Divisionismo” e immaginate un quadro che volete voi, magari di Seurat. Provate a stargli ad un palmo di naso. Puntini separati e impossibilità per l’occhio di fonderli e di percepire l’immagine, splendida se vista nella sua interezza.
Ora allontanatevi.
L’occhio e il cervello “mettono insieme” e la visione si fa chiara.
Stupefacente! Bello da commuoversi!
Incredibile cosa san fare occhi e cervello; incredibile che quei “puntini”, apparentemente isolati, visti da lontano ci regalino… un capolavoro!
C’è bisogno di questo passo indietro, ora, per abbracciare la realtà, per guardarla, per comprenderla (da “cum-prendere”: prendere, tenere insieme).
Allora il puntino che è l’autore “X” della letteratura italiana del Novecento si scopre che sta benissimo con il puntino che gli sta accanto che è il filosofo “Y” o il poeta “Z” di lingua straniera, o lo studioso Vattelapesca di Scienze sociali. E tutto si fa più chiaro.
Perché, come il quadro divisionista, fatto di tanti puntini che sembrano staccati, così è la realtà. Ci chiede una visione unitaria. Esige una visione unitaria. Anche se questo mondo in travaglio, in cui pare abbiano la meglio il relativismo, il nichilismo, la forza centrifuga, sembra affermare il contrario e - stolti che siamo! – si accontenta di vedere i puntini e rifiuta di commuoversi per la bellezza dell’immagine intera.
A scuola (è proprio orribile il gergo scolastico!) dicono che il colloquio orale non sarà intra-disciplinare, ma multi-disciplinare, inter-disciplinare, trans-disciplinare. Paroloni.
Allontanatevi di un passo. L’esame sarà più semplice di quanto crediate.
L’occhio, guardando un punto del “quadro” (che, in fondo, è…la vita), ha bisogno di abbracciare il resto, e così quel puntino (e cioè quella disciplina, quel piccolo argomento di quella disciplina), relazionandosi con il tutto, troverà la sua dimensione vera.
E’ questa visione complessiva che avrà dato un senso, IL SENSO, ai vostri tredici anni sui banchi. E’ questa visione complessiva che dimostrerà che siete “maturi”: che avete acquisito, cioè, la fisionomia di uomini e di donne.
Sento già una “vocina” pronta a redarguirmi, ricordandomi severa che hanno tolto da tempo il complemento di specificazione “di maturità”, che accompagnava il sostantivo “esame”.
Pare offenda, pare che non sia carino, pare quantomeno opinabile se non presuntuoso, perché gli esperti (?!?) sostengono che nessuno può verificare se chi ha di fronte è “maturo”.
Sarà.
Ubi maior, minor cessat.
Anzi no. Sapete una cosa? A me questo aggettivo continua a piacere un sacco; esiste nel vocabolario della lingua italiana e dunque me ne faccio un baffo di quel che dicono gli esperti (?!?) e lo uso senza remore.
Insisto. “Maturi”.
“Maturi” per la vita.
P.S. Non mi sono dimenticata degli studenti-cicala. Incrociamo le dita (ho il sentore che ce ne sarà bisogno) e…in bocca al lupo pure a loro!