Scrivono i Prof

Editoriale - Giugno 2010

Scritto da La cinciallegra il 03 Giugno 2010.

Ci vuole un villaggio

L’educazione “è più della somma delle tante cose che possono abitarla. Più di una mera istruzione ricevuta, assimilata, restituita in opere e saper fare; più dell’imparare; più dell’addestramento”, perché più di tutte queste cose è colui che ha bisogno di educazione.
Ha deciso di iniziare così, la cinciallegra, il suo editoriale di giugno: mettendo al centro della riflessione - come dev’essere - il protagonista vero della scuola e cioè “colui che ha bisogno di educazione” e prendendo in prestito da Duccio Demetrio le parole virgolettate.
A Duccio Demetrio, docente di Filosofia dell’educazione, stanno simpatiche le cinciallegre e dunque…capirà.
Andando come al solito contro corrente, mentre ovunque, quando l’argomento è la scuola, in questo periodo si leggono commenti o postille alla riforma Gelmini, e tagli, e soldi che mancano e tra poco – prepariamoci – arriveranno numeri e numeri e numeri (alunni promossi, non promossi, materie da recuperare a settembre, statistiche…), la cinciallegra tenta un bilancio “suo”.


Non numeri. Volti.
“C’è bisogno di un villaggio per educare un bambino”, recita un proverbio africano.
Il nostro liceo non è frequentato da bambini e si potrebbe pensare che, dunque, il problema non ci riguardi, perché da noi i bambini arrivano già “svezzati”. Invece, dispiace dirlo, il “problema”, come adulti, ci riguarda, eccome.
Primo perché, come giustamente osservava Romano Guardini in un breve scritto intitolato “La credibilità di un educatore”, “la più potente ‘forza di educazione’ consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere. Sta proprio qui il punto decisivo. E’ proprio il fatto che io lotto per migliorarmi che dà credibilità alla mia sollecitudine pedagogica per l’altro”. Insomma: per fortuna non si finisce mai di imparare!
Secondo perché – basta guardarsi intorno – sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è entrata in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli.
La cultura post-moderna pare affermare che non si può e non si deve insegnare dove si è diretti, ma solo accettare di vivere nella condizione di chi non è diretto da nessuna parte, ed è sostanzialmente da questo “pensiero debole”, dallo smarrimento degli adulti, che scaturisce una sorta di autocondanna e, troppo spesso, di rinuncia al ruolo di educatori.
Risultato? Negando la speranza di un significato positivo della vita, la generazione di ragazzi che vediamo crescere sotto i nostri occhi, che sta per terminare un altro anno scolastico, è una generazione di ragazzi che spesso si sentono orfani, senza padri e senza maestri; annoiati, fusi e confusi nel mondo virtuale dei ‘social network’; che – ce lo raccontano i loro occhi spesso smarriti e i loro scritti (anche in questo giornalino) – hanno sempre più spesso la sensazione di camminare sulle sabbie mobili. Oppure gridano, magari maldestramente, come “sono capaci” alla loro età, ma con verità e schiettezza, la loro domanda, il loro BISOGNO di educazione; una domanda a cui gli adulti, troppo spesso, sanno rispondere solo con timidi e impacciati balbettii.
La cinciallegra scorre i grafici relativi alle assenze di quest’anno scolastico, o alle “entrate in ritardo” o alle “uscite anticipate” e sono dati che non possono non far riflettere.
Fatti i debiti “incroci”, quando vede che lo studente Tizio più volte è stato assente proprio il giorno della verifica ma il giorno dopo c’era, capisce che per lui è più facile dribblare gli “ostacoli”, anziché affrontarli. E non sempre a casa c’è un adulto che controlli il libretto delle assenze e “vada a fondo” o, a scuola, c’è un insegnante disposto a fare due chiacchiere con lo studente Tizio per aiutarlo a comprendere che, in classe e nella vita, gli ostacoli bisogna piano piano imparare ad affrontarli “al primo colpo”, perché non è detto che ci sia sempre una seconda possibilità.
Perché “c’è bisogno di un villaggio per far crescere un bambino”?
Perché nessuno, da solo, oggi ce la può fare. Né un giovane, né un adulto. Perché c’è bisogno di una relazione di fiducia, di positività, di stima per l’essere umano; di una speranza per le sue risorse, di una “compassione”, e cioè della disponibilità degli adulti - genitori, insegnanti, educatori - a “portare insieme” al giovane le fatiche che, lasciato solo, lo schiaccerebbero.
Chiacchiere? Discorsi astratti da cinciallegra che, volatile, conosce poco e solo “dall’alto” il mondo degli umani? Magari! La cinciallegra vola, sì, ma, quando serve, ha le zampette pure ben poggiate a terra. E occhi per vedere e “orecchie” per ascoltare.
Da molti anni, ormai, fa parte della Commissione elettorale e sa quanti genitori partecipano alle votazioni per i rappresentanti di classe o di Istituto. Pochissimi.
E’ un’ insegnante e vede, a fine d’anno, sul registro, quanti genitori e con che assiduità sono venuti a colloquio nel primo e nel secondo quadrimestre. Pochi, rispetto a quel che occorrerebbe.
Quest’anno è pure coordinatrice del dipartimento di Lettere ed ha avuto modo di confrontarsi più volte con le colleghe su questo argomento.
Talvolta le capita di parlare con i genitori rappresentanti di classe e capisce che sudano sette camicie per avere incontri o contatti anche solo telefonici con gli altri genitori.
Potrebbe fare altri esempi, ma, già così, le pare di avere davanti agli occhi un quadro abbastanza chiaro, che le permette di affermare con amarezza (amarezza per gli studenti!) che spesso i genitori “latitanti” sono proprio i genitori dei ragazzi più fragili o più in difficoltà.
Non esprime giudizi di merito: non gliene vogliano dunque i genitori che, per motivi loro che non conosce e che non le interessa indagare, non sono venuti ai colloqui. La cinciallegra è una mamma pure lei e approfitta dunque dell’argomento per riflettere anche (e innanzitutto) su di sé.
Il fatto è che, a fronte di una fatica e di una “emergenza educativa” che francamente pare più dell’adulto che del ragazzo, spesso si tende a scegliere, per mille ragioni e pur in buona fede, la strada più semplice: quella della delega. “Non ho tempo, non sono capace, che ci pensi la scuola!”.
Non è la cinciallegra, ma Hannah Arendt ad ammonirci: “Che gli adulti abbiano voluto disfarsi dell’autorità significa solo questo: che essi rifiutano la responsabilità del mondo in cui hanno introdotto i loro figli”; la conseguenza inevitabile è che lasciano dunque in balia di se stessi coloro di cui dovrebbero prendersi cura, o abdicano al ruolo di genitori, perché la veste di “amico/complice”, tutto sommato è più comoda e tante volte (almeno apparentemente e a breve termine) più gratificante.
E così capita che il padre o la madre del figlio che ha bigiato la scuola, “copre” il figlio; idem se modifica un voto o falsifica una firma sul libretto; e se non è preparato per il compito ( o se “non gli va” di venire a scuola a farlo), ecco il genitore pronto a firmargli la giustificazione. Recupererà il compito la prossima volta.
Se è vero questo e se sono veri (come, ahimè, sono veri) i dati sopra citati, c’è bisogno non di delega, ma di una collaborazione basata sulla fiducia reciproca e sul rispetto dei diversi ambiti di competenza, perché è solo ricreando legami solidari tra adulti, un vero e proprio “patto educativo”, che si può dire di avere sul serio a cuore, al centro del cuore, il destino di “colui che ha bisogno di educazione”.
Non “un numero” utile a compilare statistiche: un volto.
Quello di nostro figlio. Quello dello studente che ci è stato affidato.
“Legami solidali” significa “villaggio”; significa agire insieme per il bene delle nuove generazioni che, grazie a rapporti umani autentici e ad una compagnia sicura, affidabile, autorevole, vanno formate perché sappiano entrare nel mondo, forti di una memoria densa di significato. Occorrono dunque “maestri” che consegnino questa tradizione alla libertà dei ragazzi, affinché la verifichino con ragionevolezza e senso di responsabilità.
In questo bilancio di giugno, aspettando gli esami di Stato per gli studenti di quinta, ecco dunque, per par condicio, un “esame” pure per noi adulti, con la domanda delle domande: abbiamo fatto il possibile (da genitori e da insegnanti) per “ex-ducere” (e cioè “tirare fuori dal profondo”) le potenzialità di chi ci è stato affidato, o abbiamo preferito “se-ducere”, compiacere il giovane che avevamo il compito di aiutare a crescere e ad aprirsi alla realtà? “Se-ducere”, compiacere, come se di fronte a noi non avessimo esseri umani che dobbiamo aiutare a diventare adulti consapevoli, ma clienti da soddisfare, nell’ottica secondo la quale “il cliente ha sempre ragione”.
Strada comoda e facile, quest’ultima, perché non richiede regole e, soprattutto, perché non richiede che, di quelle regole, si dia, testimoniandola con la propria vita, una…ragione ragionevole.
La cinciallegra ha iniziato prendendo con il beccuccio alcune parole di Duccio Demetrio e di Romano Guardini, conclude spizzicandone altre da Natalia Ginzburg: “Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione: avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita”.
Gli studenti tra poco cominceranno le vacanze. Per noi adulti l’invito è invece a rimboccarsi le maniche, perché, d’ora in poi, c’è da lavorare sodo e, soprattutto…INSIEME.
Ne va del nostro futuro.

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