Editoriale di Novembre: "Una buona vista, per una vista buona"
Scritto da La cinciallegra il 01 Novembre 2010.

Una buona vista può essere veicolo di una vista buona. E viceversa.
Se è così, uno dei compiti importanti della scuola dovrebbe essere la capacità di proporsi come oculista virtuale, che rassicura e dà speranza a chi crede di essere condannato a rimanere per tutta la vita ipovedente, che prescrive lenti graduate a chi ne avesse bisogno per correggere eventuali difetti o, più semplicemente, insegna con pazienza qualche esercizio per allenare l’occhio.
Compito dunque ineludibile della scuola, luogo di istruzione e di educazione, trovare o ritrovare passione e strumenti (più passione che strumenti!) per far gustare agli allievi la bellezza di un mondo visto con…undici decimi. Con una “buona-vista-buona” da vicino ed una “buona-vista-buona” da lontano. Sì. Perché il problema non è tanto e non è solo imparare a vedere bene. E’ importante anche allenarsi a vedere IL bene, e cioè imparare ad avere uno sguardo positivo sulla realtà tutta. Quella vicina e quella lontana. Un allenamento per i ragazzi, ma ancor prima per gli adulti, sempre più a rischio di impantanamento nella melma miope o presbite del mondo, che, oggi, pare sappia offrire ed insegnare solo sguardi malati.
Lo sguardo macabro su Avetrana, nuovo luogo di “pellegrinaggio” dei curiosi. Riflettori puntati no-stop per fare audience.Lo sguardo voyeristico e bavoso, morbosamente interessato a vedere cosa mai accadrà di nuovo nella “casa del Grande Fratello” o nella vita privata e nella camera da letto di politici, calciatori, starlette.
Lo sguardo distratto dei passanti, di fronte a Maricica, l’infermiera rumena colpita da un pugno nella stazione della metropolitana a Roma e lasciata a terra perché nessuno si curava di lei.
Lo sguardo che tutto appiattisce, tanto che la BBC ha interrotto i programmi per dare in diretta la notizia della morte del polpo Paul. E intanto, in Indonesia, terremoto, tsunami ed eruzione vulcanica stavano mietendo centinaia di vittime. Uomini, donne, bambini, anziani uguali o meno importanti del polpo Paul. Per la BBC e per i mass media di casa nostra.
Lo sguardo di troppe trasmissioni pomeridiane e di prima serata all’inseguimento delle luci del palcoscenico in una “pedofilia” dell’immagine che usa bambini e adolescenti per gonfiarsi le tasche. Lo sguardo spoglio e spogliato nei social network, in cui si sbattono in faccia al mondo frammenti del proprio privato. O lo sguardo bugiardo di chi si inventa false identità.
Lo sguardo allucinato dello sballo: pupille dilatate di occhi in fuga.
Lo sguardo annebbiato dal miraggio di una vincita al superenalotto: soldi sognati come tapis roulant che conduce dritti dritti alla felicità. E chi se ne importa se è solo effimera.
Lo sguardo ubriaco di finti elisir dell’eterna giovinezza.
Lo sguardo abbagliato dall’effetto placebo di scacciapensieri della durata di un battito di ciglia.
Lo sguardo necrofilo e guardone che tenta, così, di rispondere ad una domanda di emozioni e di passioni di una società piatta e/o assuefatta, che si droga di cronaca nera e di reality come il tossicodipendente si rifornisce dal pusher. E la lista potrebbe continuare…
Le scuole, nel P.O.F. (piano dell’offerta formativa), offrono stages, scambi, viaggi, uscite, progetti intra ed extra scolastici in Italia e all’estero. Le scuole chiedono sempre più laboratori linguistici, sempre più laboratori scientifici, sempre più laboratori informatici, sempre più lavagne interattive ed hanno ragione, perché la vita, il presente (e il futuro) è pure questo e guai restare indietro. Ma a volte, il più delle volte, basterebbe davvero poco. Un microscopio ed un binocolo. Più adulti-maestri che li sappiano usare ed abbiano voglia di raccontare “come si fa”.
Come si fa ad apprezzare con stupore la grandezza delle cose piccolissime, semplici e quotidiane, svelandone la bellezza nascosta. Le cose che passano inosservate, e però accadono ogni giorno, silenziose. E dunque non fanno notizia. Anche se il mondo (la parte più bella del mondo!) va avanti grazie a loro.
Come si fa ad accettare la sfida del silenzio e trovare il coraggio per guardarsi dentro, in profondità. Per dare ascolto, senza censurarla, alla domanda più vera del cuore, al desiderio di felicità. E vivere per trovare una risposta che sia esaustiva. E poi donare la vita per (a) quella risposta, che rimette in gioco tutto, perché dà senso a tutto.
Adulti-maestri che raccontino, testimoniandolo con il loro io in azione, come si fa a spingere lo sguardo, fiducioso, verso l’orizzonte. O in alto, verso il Cielo. Come si fa a sgranare gli occhi e a spalancarli, curiosi, fuori dalle mura di casa, fuori dalle mura della scuola. Lontano. Perché la ragione ci dice che la realtà è più grande di quello che ciascuno di noi ha nella sua testa. E va guardata, ascoltata, accolta, amata. Perché l’esperienza insegna che non sono le circostanze che fanno la felicità, ma la disponibilità ad abbracciare e fare proprio il dato di realtà, qualunque esso sia.
E’, questa, l’unica, vera felicità possibile. Ma ad una condizione. Bisogna imparare a guardare la realtà a…undici decimi. Nel dettaglio e nella sua stupefacente complessità. Da vicino, per poterla sentire “intima”, ma anche con la capacità di fare un passo indietro. Per rispetto e per pudore. Perché chi pretende di possedere la realtà, prima o poi la sgualcisce, la riduce. Ed è inevitabilmente destinato a perderla.
E allora ecco cosa significa una vista buona: l’occhio allenato come quello della macchina da presa, capace di guardare alla realtà in primissimo piano, primo piano, piano americano, campo medio, campo lungo e poi lunghissimo. Con qualche zoomata, quando serve dare respiro al cuore. O sicurezza. E speranza.
Solo così una buona vista diventerà una vista buona. E viceversa.
Perché è proprio vero: più che di un mondo nuovo, oggi, c’è bisogno di occhi nuovi per guardare il mondo. Solo guardare in modo nuovo alle cose di sempre potrà aprire allo stupore e fare apprezzare a tutti la bellezza di una vita vissuta, nelle sua pienezza, “hic et nunc”: qui ed ora.
Charles Péguy scriveva, a proposito di Victor Hugo: “Egli non vedeva il mondo con uno sguardo abituato… È lo stupore che conta. Il vecchio Hugo vedeva il mondo come se fosse appena fatto”. (Veronique. Dialogue de l'Histoire et de l'âme charnelle).
Che la scuola, in barba ai messaggi del mondo, torni ad insegnare « questo » sguardo, frutto maturo di una buona vista buona.