Editoriale - Agosto 2010
Scritto da La cinciallegra il 03 Agosto 2010.
INNAMORARSI. ANCHE… PRO FORMA
Urge chiarimento. Dato che l’ultima parte del titolo è rischiosamente depistante, meglio spiegare.
“Pro” è semplicemente l’opposto di “contro”.
Niente a che vedere, dunque, con la definizione offerta dal dizionario, secondo la quale per “proforma” (o “pro forma”) si intende “pura formalità”. E’ esattamente l’opposto.
La cinciallegra, come al solito “a modo suo”, cercherà di spiegare perché, nell’editoriale di agosto, si è incaponita a voler difendere a spada tratta la “forma”. Perché la forma, più spesso di quanto non si creda, è…sostanza.
Dell’innamoramento parlerà più avanti, perciò andiamo con ordine.
Una rilevazione elaborata dall’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) sui livelli di apprendimento degli studenti al termine del quinto anno delle scuole superiori (un campione significativo di elaborati della prima prova dell’esame di Stato della sessione del 2009) fa emergere un dato preoccupante ma ormai arcinoto: la scarsa padronanza della lingua italiana nell’esposizione scritta.
In tutte e quattro le competenze in cui si struttura la padronanza della lingua italiana scritta (testuale, grammaticale, lessicale - semantica e ideativa), il voto medio risulta inferiore alla sufficienza. Insomma: dopo almeno tredici anni di permanenza sui banchi di scuola, la gran parte degli allievi non raggiunge un adeguato livello di padronanza della lingua.
Questo lo stato delle cose. Drammatico.
Poiché la lingua (orale e scritta, ma qui ci occupiamo della produzione scritta) non è fine a se stessa, ma un veicolo di comunicazione di sé, è bene ricordare che scrivere è un atto complesso, in cui si è chiamati ad esprimere in modo organico e persuasivo ciò che si pensa. Nero su bianco si produce un testo che non è la mera ripetizione di regole grammaticali o sintattiche, ma che inevitabilmente racconta il livello di maturità critica di un essere umano alle prese con la vita e con il mondo.
Fatta la diagnosi (repetita iuvant: i ragazzi – e purtroppo non solo loro! – non sanno scrivere), occorre dunque la terapia che, come tutte le terapie, è efficace solo a certe condizioni: se il paziente segue scrupolosamente le indicazioni del dottore e se non viene disorientato da pseudo - medici che prescrivono cure palliative, sottovalutando la patologia.
La terapia, quindi, (specie nel caso di certe malattie “croniche”, esattamente come questa), va seguita secondo la posologia e senza trasgressioni. Pena: ricadute, complicanze, effetti collaterali anche gravi. Persino la morte (della lingua italiana, si intende!).
Tradotto in “scolastichese”: per imparare a scrivere “bene”, occorre che si scriva “bene” sempre. Che vuol dire tutte le ore di tutti i giorni, qualsiasi sia il contenuto da comunicare.
Quando si è a scuola, bisogna scrivere “bene” in tutte le discipline (e non solo quando c’è il compito di/in italiano!).
Ergo: serve attenzione e pre-occupazione costante da parte di tutti i docenti, nell’ottica (che deve diventare sentitamente condivisa dall’intero Consiglio di classe) che non conta solo “ciò” che si dice, ma pure - e decisamente più di quel che è contato fino ad ora! - “come” lo si dice.
La cinciallegra ha scoperto l’acqua calda? Magari!
Se fosse così, non staremmo qui a perdere tempo (la cinciallegra a scrivere, voi a leggere), l’Invalsi trionfalisticamente ci offrirebbe dati diversi, rispetto a quelli - penosi - riportati in questo articolo, e le Università non sarebbero costrette ad organizzare corsi di alfabetizzazione (?!?) per matricole nate, vissute, diplomate in Italia (no comment).
Ma il punto è un altro ancora.
Perché i ragazzi scrivano bene non è sufficiente applicare formulette.
C’è un “prima”. E’ un “prima” che viene…prima che inizi il nuovo anno scolastico. E’ un “prima” che può e deve partire già ora, in vacanza. E’ un “prima” che si chiama…innamoramento.
(Che la cinciallegra abbia preso un’insolazione e stia dando di matto? Che c’entra l’innamoramento con la scrittura?).
C’entra.
E’ vero o no che è quando ci si innamora che…ci si lava di più, si presta attenzione all’aspetto fisico, all’abbigliamento, ai dettagli?
Se ne vedono, in giro, di cinciallegre sciatte: piumette sbiadite ed arruffate, pantofole e bigodini…sic!
Il pavone innamorato fa “la ruota” e offre il meglio di sé. L’usignolo, quando gli batte forte forte il cuore, dà una lucidata alle corde vocali, ripassa con cura gli spartiti, si schiarisce la voce, si concentra, e il suo canto…incanta…
Insomma: per sentire davvero il desiderio di imparare a scrivere bene, occorre…essere innamorati.
Innamorati della vita.
Scrivere, quindi, è un atto che comincia molto prima di quando la penna lascerà segni di inchiostro nero sul foglio bianco! Si inizia a scrivere mentre si legge un libro, si guarda un film, si ascolta musica, si incontra un amico. Mentre si viaggia. Mentre si fa qualsiasi cosa, a patto che contestualmente ci si chieda cosa c’entra con la nostra vita.
Innamorati della vita, si guarda tutto con stupore, come se lo si vedesse per la prima volta. E ci si arricchisce in umanità.
E’ allora che si cercano strumenti utili ed efficaci per comunicare: per regalare un po’ di quel che il cuore ha ricevuto e vuole condividere, tanto è…sovrabbondante.
Perché scrivere non è l’applicazione di regole astratte, ma la consapevolezza di cose talmente “grandi” da raccontare (siano esse comiche o tragiche, esperienze belle o dolorose…) che, per non svilirle, per non rischiare di sminuirne la grandezza, si fa di tutto, ma proprio di tutto, per raccontarle “bene”.
Elogio alla forma, dunque, perché solo in questo modo la forma diventa…sostanza: coincide con essa.
Chi non ha niente da raccontare riporta un “sentito dire” che non è diventato esperienza. “Copia” dagli altri senza coinvolgimento, senza passione. E, così, spesso copia male.
Tanto più quest’estate guarderemo la realtà da “innamorati”, tanto più riempiremo di bellezza (e, alzando lo sguardo, anche di Bellezza) lo zaino della nostra vita. E proveremo il gusto di giocare con le lettere dell’alfabeto. Capiremo che le parole hanno corpo ed anima, ed una densità tutta da scoprire. Comprenderemo la ricchezza e le potenzialità enormi che racchiudono, e ne avremo cura.
E così ciascuno, a settembre, al rientro dalle vacanze, al suono della prima campanella, riprenderà a costruire (ma con un entusiasmo tutto nuovo!) quella sola parola specialissima, composta da miliardi di lettere, capace di raccontare la SUA vita. Originale, unica e irripetibile.
E’ più facile di quanto non si creda!
Servono solo le lettere dell’alfabeto, da combinare con fantasia ma con il rispetto che meritano.
Ed occorre un “prima”. Occorre imparare a guardare la realtà. A guardarla con amore. Perché ha ragione Romano Guardini: “Le radici dell’occhio sono nel cuore”.