Dialogo fra docenti
Scritto da prof.ssa Graziella Bellomo il 08 Aprile 2010.
“Perché pubblicare il giornale della scuola in rete?”, chiede la collega d’italiano che, durante l’intervallo, mi ha cercata. Penso fra me: “ Di questi tempi, mi sembra così ovvio pensare alla pubblicazione in rete del giornale della scuola…” e proseguo il dialogo interno, chiedendomi se è proprio necessario esplicitare le ragioni della scelta. Incalzata, però, rispondo: “La rete è una protesi partecipata.”
“Cosa dici? Una ‘protesi partecipata’?! Cerchiamo di evitare le frasi ad effetto! I ragazzi comunicano già con codici nuovi e a volte incomprensibili; per monosillabi, frasi sconnesse e frammentate … Capita che perdano la capacità, o proprio non imparino a pensare criticamente. Almeno noi, cerchiamo di esplicitare le ragioni delle nostre scelte per esteso! E poi ‘protesi’ è un termine bruttino. Sa di malattia e mi fa venire in mente gli esiti d’incidenti stradali.”
“Convengo con te. ‘Protesi’ è un termine bruttino; mi rendo conto che lo sto utilizzando in modo insolito, ma metti un po’ da parte la tua giustificata repulsione. Considera piuttosto il corpo umano e il corpo sociale.”
Guardo la collega che mi ascolta con frettolosa attenzione; vorrei farla breve, ma non posso evitare di cominciare da lontano e continuo affannata: “Gli uomini hanno messo a punto, da tempo, diverse ‘protesi’. Gli occhiali, ad esempio, sono una protesi per gli occhi che presentano difetti nella visione; ma anche la TV lo è, poiché permette all’occhio di poter guardare cose molto lontane nello spazio e nel tempo; lo è il microscopio per le cose piccolissime… Il telefono, il cellulare, sono ‘protesi’ che permettono di ascoltare voci e suoni molto lontani e così la radio. La bicicletta, l’automobile, il treno, l’aereo, la nave sono ‘protesi’ per le nostre gambe: ci permettono di coprire molti chilometri in tempi brevi e brevissimi. Sono ‘protesi’ pure coltelli, cucchiai, forchette, penne, cacciaviti, martelli e altro ancora; ‘protesi’ che permettono alle nostre mani di fare cose che le stesse, nude, non potrebbero eseguire. Per non parlare delle dentiere, ma anche del progetto della mano bionica che parla col cervello... ”.
“Va bene, non ti dilungare. Mi sembra chiaro. E dunque?”, sbotta un po’ spazientita la collega, che evidentemente deve andare in classe.