Presente, Futuro: Università di Bolzano e mercatini.
Scritto da Tommaso Fagotto il 09 Dicembre 2014.

Appena a casa butto il borsone a terra. Ciao mamma. Vado diretto in bagno, che ho bisogno di una doccia. È la solita doccia, la solita acqua, il solito bagno. Anch’ io sono il solito, solo un po' stanco. È che sono appena tornato da Bolzano.
Due giorni ormai passati all'insegna del futuro, tra arte moderna, università moderna, città moderna, negozi moderni, mercatini di Natale, moderni anche quelli, e - stavolta mi tocca dirlo - professoresse moderne.
Ci troviamo in stazione e, una volta tutti, partiamo, in autobus. Son seduto in parte a Ludovico; almeno ho qualcuno con cui parlare. Ma lui ascolta la musica.
Cerco con aria disperata nello zaino, nelle tasche, per terra, mi guardo attorno, molto vicino al suicidio: non ho le cuffiette. Ci metto un po' a farmelo andar bene, ma poi mi metto a guardare fuori dal finestrino per dimenticare e per passare il tempo. È bello.
Arriviamo che è quasi mezzogiorno, e neanche fa tutto il freddo che pensavo. L'albergo è su su e poi a sinistra, fuori dal centro, fuori da Bolzano, fuori da tutto. Mi prende male: io la sera volevo andare in centro. La stanza fa ridere, nel senso che mi toccherà dormire nel letto matrimoniale con Ludovico: due romantici giorni, più notte nello stesso letto... Non vedevo l'ora. Lasciamo giù le borse e andiamo all'università, vicino al centro. Ci sono i mercatini di Natale, e c'è anche tanta gente. È tutto molto suggestivo. L'università é un edificio moderno, bello, sia dentro che fuori. Ciao, buongiorno, conosco la figlia della professoressa Zecchinel, la Ahlborn continua a parlare, ininterrottamente, e io ascolto, bevo un caffè, vado in bagno, mi tolgo il giubbotto, mi faccio alcune domande, poi entriamo in una stanza, ci spiegano come funziona e che facoltà ci sono, ci danno anche dei fogli per prendere appunti. L’università è uno schianto. Diciamo che questi giorni mi son serviti parecchio per capire come funziona un'università, visto e considerato che prima non avevo neanche idea di come fosse fatta. Son quasi più speranzoso, ho quasi più voglia di studiare, e mi dico che finalmente farò quello che mi piace fare, non vedo l'ora. C'è l'economia, la tecnologia, l'arte, la comunicazione, il tutto condito con un po' di tedesco ed un po' di inglese qua e là.
La biblioteca dell'università, poi, ha dieci chilometri di scaffali, e i libri sono restituibili ventiquattro ore su ventiquattro. Geniali questi tedeschi! Non sembra neanche di essere in Italia, ma per davvero. Tutto è pulito e tutto è tradizionale, hanno fatto addirittura chiudere il Burger King che c'era in centro per via delle tradizioni. Come lo so? Semplice: la cara professoressa Zecchinel non ha smesso un attimo di parlare in autobus, è riuscita addirittura a fare un discorso che comprendesse mele, loacker, mercatini di Natale, fabbriche a forma di scarpone, soldi dei genitori, e prime colazioni in cui bisogna mangiare, bisogna, ché l'abbiamo pagata. E mi piange il cuore ammetterlo, cara prof, ma mi tocca dirle che da quando abbiamo scoperto che si poteva disattivare l'altoparlante dell'autobus schiacciando il bottone che avevamo sopra la testa, l'abbiamo spenta. Ma letteralmente.
In università c'erano opere d'arte e di design sui muri, alcune addirittura belle, e c'erano dei divanetti su cui ci si poteva distendere, che i soldi delle tasse li valgono tutti.
La sera mangiamo in mensa dell'università, e poi andiamo in una birreria fighissima. Piove, ma si sta bene. Ci sediamo fuori, visto che dentro non c'è posto e ordiniamo tutti una birra (Zecchinel compresa). Le conseguenze sono devastanti, e la prof Gatti comincia a raccontarci di quando ci aveva come alunni, alle medie, e dice che ero un angioletto. È stata la serata in cui ho coronato il sogno di una vita: ho detto quello che non mi sarei mai sognato di dire. Anche dei prof. Ma in amicizia, mica ero serio. La birra costa poco, ed è buona. Si sta talmente bene... che è già ora di andare in albergo. D'altronde è tardi, sono le nove.
Quello che succede la notte appartiene alla notte, ma se volete un sunto, chiudete gli occhi e immaginatevi una stanza con me, Ludovico, Baldo e Grotto. Un concentrato di testosterone inimmaginabile, una bomba di virilità letale. Siamo stati un binomio perfetto, io e Ludovico. Anzi, ricordatemi di spiegarvi la morsa del panda uno giorno di questi. Ma in privato. Avevamo una terrazza dove abbiam fatto le ore piccole a discutere di cose serie e di serie tv.
Quattro ore dopo era già giorno.
Scendiamo a fare colazione, un po' catatonici, e poi andiamo ad assistere a due lezioni in università. Le lezioni dipendono naturalmente dal professore, ma non mi sono sembrate lontanissime dalle nostre ordinarie lezioni, solo impostate diversamente.
Nelle successive quattro libere ore, mangiamo un panino con speck e formaggio fuso che mi fa addirittura dimenticare della precedente notte a letto con Ludovico.
Poi andiamo a casa.
Butto la borsa a terra e vado diretto in bagno, perché ho bisogno di una doccia. Di sicuro non ho capito cosa farò nel futuro, di sicuro non c'è stata l'illuminazione che tutti aspettiamo, di sicuro - o quasi - in futuro non andrò in università a Bolzano.
Ma almeno, almeno ho capito com'è che il futuro funziona.
E mi è piaciuto.