Una storia che deve essere raccontata
Scritto da anonima il 26 Gennaio 2011.
Mi posiziono comoda sulla mia poltroncina girevole in attesa della ragazza di oggi.
Il giornale per cui lavoro si interessa di casi come il suo: ragazze in difficoltà, o che hanno appena superato dei momenti difficili.
Sono storie che DEVONO essere raccontate.
Con un lieve bussare alla porta, fa capolino nella mia stanza la testa bruna della ragazza.
Le sorrido amichevole.
“Ciao, Fra! Ti aspettavo!”.
Le indico una poltroncina identica alla mia, di fronte a me. Vi prende posto titubante.
“Beh, vediamo di farla corta!” - esclama burberamente.
Ho toppato. Non è titubante, è solo parecchio seccata di essere lì. Eppure sa che questa intervista la deve fare: l’hanno costretta. La vedo dura, ma so che sarà un passo in più verso l’uscita da quel problema…
“Ci diamo una mossa? Vuoi partire con le domande? Non ho mica tutto il giorno, sai!? Devo uscire, studiare, fare delle cose… Se non ti decidi, me ne vado. Anzi, già che ci sono, guarda: risparmio del tempo. Ti spiace se mi trucco?”.
Faccio per aprir bocca, ma mi interrompe subito. “Guarda: non ho neanche bisogno che tu mi dica sì o no. Dopotutto, non sei mica mia madre!”.
Con noncuranza tira fuori la boccetta di fondotinta al miele. E’ lo stimolo che mi serve per farmi andare in bestia.
“Benissimo, stupidella. Cominciamo. Volevo metterti a tuo agio, ma ci rinuncio, visto che i miei sforzi non vengono né ricambiati, né riconosciuti”.
Faccio la dura, ma anche per me è difficile: non so davvero da dove iniziare.
“Vediamo…Partiamo da domande più scontate. Come vai a scuola?”.
Con aria indifferente, inizia a spalmarsi il fondotinta. “In autobus”.
“Non siamo qui per fare dello spirito. Le tue materie preferite?”.
“Italiano, filosofia, tedesco e spagnolo”.
“Hai dei bei voti?”.
“Ottimi, se mi impegno. Ovvio”.
“E ti impegni?”.
“Sempre”.
Poggia il fondotinta per passare al correttore.
“Come sono i rapporti in classe?”.
“Uh, che vuoi…In prima erano ottimi perché non conoscevo bene le persone che mi son trovata di fronte; andando avanti nel tempo vedo che i rapporti vanno deteriorando sempre più. Sai qual è il bello? Si realizza che si è costretti a detestare una persona per cinque anni, senza nemmeno poter avere il piacere di tirarle addosso un cancellino, o la lavagna intera, magari”.
“Mi vuoi dire che sei o che ti senti emarginata?!”.
Sono incredula. Francesca non solo è carina; è intelligente e disponibile. Non capisco…
“Ho saputo dai tuoi insegnanti che sei tra le migliori studentesse, sempre attenta e disponibile. Le tue compagne mi hanno detto che dai volentieri una mano a chiunque e che hai sempre il sorriso sulle labbra e tu ora mi dici che non vai d’accordo con nessuno?”.
Poggia il correttore. Ora il suo viso è liscio come il volto delle Grazie, ma lo sguardo non è altrettanto sereno.
“Non è che non ci vado d’accordo. Ci sono certe ragazze che in assoluto non sopporto e per la verità in classe mia la maggior parte sono un branco di false, ma altre, invece…Stare con alcune ragazze mi arricchisce, mi fa stare bene, mi fa crescere, mi aiuta a capire e a capirmi. C’è la timidezza della ragazza in ultima fila, c’è la spensieratezza di chi ha vissuto una vita piena e ricca di esperienze, c’è la dolcezza degli occhi azzurri di un’altra e la gravità dello sguardo della ragazza che ha sofferto… E poi ogni classe ha anche il suo Arlecchino, buffo e sempre allegro, intelligente e arguto, col dono di far sempre ridere il prossimo, anche se, a volte, proprio perché schietto appare inappropriato...”
Recupera il fard rosa pesca.
“Vedi…Il fatto di essere obbligato ad andare d’accordo con certe persone in un regime di tensione, che può essere la scuola per chi desidera andare bene, può renderti particolarmente suscettibile e permaloso. E, scusa il termine, certe sono davvero str… Poverine, magari sono solo accecate dall’invidia, ma lo sai che magari anche senza rendersene conto possono arrivare a distruggere un animo fragile? Al giorno d’ oggi, evidentemente, per essere apprezzato devi essere mediocre”.
“E tu non vuoi…”
“Certo che no!!!”.
“Va bene. Quindi abbiamo capito che la scuola è un fattore di tensione”.
Sbuffa seccata.
“Non hai capito niente. Ho detto che potrebbe essere un fattore di tensione. Nel mio caso non lo è stato. Non particolarmente, almeno”.
Devo stare attenta a non farla pentire di aver iniziato a parlare di sé e ad aprirsi con me.
“Cosa intendi? Spiegati meglio”.
“Diciamo che mi dà fastidio che la gente mi giudichi”.
“Molto fastidio, intendi?”.
“E va bene: molto fastidio!”.
“Ma ti rendi conto? Non hai niente da rimproverarti: sei carina, simpatica, hai degli amici…”.
“Lo so! Ma non….cioè… E’ come se mi sentissi…ecco…Fuori dal gregge”.
“E non è un bene?”.
“Sì. Ma l’ho capito troppo tardi…”.
“Dopo aver iniziato a dimagrire senza motivo?”.
Strabuzza gli occhi e afferra con stizza la matita nera.
“Allora?”, incalzo dopo un silenzio che mi sembra interminabile.
“No. Io…Io…mi sono fermata. Mi sono salvata. Mi sono fermata perché ad un certo punto mi ero spaventata a morte”.
Traccia una linea nera che allunga l’occhio con maestria.
“Mi rendo conto che è una grande scemata quella che ho fatto, ma volevo dimostrare che…insomma…che anche io c’ero. L’ho fatto nel modo sbagliato. Ma l’ho capito. In tempo, per fortuna. E ora sto cercando di recuperare…”.
“Cosa c’era che non andava?”.
“Non mi sentivo ‘a mio agio’ e senza saperlo ho peggiorato le cose. Ora sono così arrabbiata con me stessa! Avevo tutto e l’ho perso. Avevo la felicità pazza e soprattutto la spensieratezza… Ma ero così ossessionata dalla perfezione, dal desiderio di essere immune da critiche, di essere invidiata dal mondo intero…”.
Annuisco. Non so cosa dirle. Non so come continuare.
“Penso che abbiamo finito…”.
Poggio il fondotinta e la matita davanti a me, faccio un cenno di saluto a Fra e mi alzo per andarmene. Lei si alza con me.
All’ultimo mi volto, per farle una carezza sulla fronte, ma le mie dita non incontrano altro che la fredda superficie dello specchio.