Incontri e riflessioni

Sono come tu mi vuoi

Scritto da Giulia Bozza, ex studentessa il 15 Ottobre 2014.

Sono come tu mi vuoi
Sono come tu mi vuoi
Ho meditato a lungo davanti ad un buon infuso di foglie di menta, prima di decidermi a poggiare la tazza sopra alla scrivania disordinata e affrontare questo foglio bianco. In realtà, con l’insolita afa ottobrina di oggi e la temperatura salita a quasi venti gradi, l'ultima cosa di cui avevo voglia era scottarmi la lingua con dell'acqua bollente, ma me lo sono imposta perché conosco le proprietà rilassanti degli infusi. Anche su questo potremmo disquisire a lungo, ma non sono qui per discutere sull'efficacia o l'inutilità che ha una buona camomilla sull'agitazione.
Ora che sono più lucida posso meditare a mente fredda su ciò che mi ha fatto tanto scaldare prima di bere il mio infuso bollente. Comincio daccapo, dunque.
Guardo davvero poco la televisione da un paio d'anni a questa parte e, negli ultimi tempi, ho dimenticato persino come si utilizza un telecomando senza troppi pulsanti colorati (perché questo non l'ho mai capito, qual è l'utilità dei bottoni verde-giallo-rosso-blu?). Oggi pomeriggio, però, in un attimo di noia improvvisa durante il quale persino strimpellare la chitarra non mi sembrava un'occupazione interessante, ho acceso il televisore. Il digitale terrestre si è sintonizzato immediatamente sull'ultimo canale che era stato visualizzato dalla mia coinquilina giusto ieri sera e mi sono ritrovata a guardare la replica di un programma italiano preso in prestito da un format degli USA. Parlava di una ragazza (a mio avviso molto carina) che chiedeva aiuto ad una nota showgirl italo-argentina per conquistare il ragazzo di cui era innamorata. Il problema consisteva nel fatto che l'aitante giovanotto fuggiva immancabilmente da lei ogni volta che si incrociavano.
Lo so, la scelta più ovvia ed intelligente sarebbe stata quella di cambiare canale e passare il pomeriggio a sgranocchiare biscotti davanti ad una telepromozione di calze contenitive, ma la mia pigrizia (e, lo ammetto, anche la mia curiosità) mi ha inchiodato davanti a quello stupido programma. Con crescente stupore (e anche raccapriccio) ho preso coscienza della discarica che le grandi emittenti hanno costruito sopra le ceneri della televisione italiana.
La ragazza - una giovane poco più che ventenne con le labbra e i capelli di un rosso squillante, abiti neri e neogoticheggianti e dei lineamenti molto dolci - probabilmente desiderava capire quali erano i suoi punti forti per imparare a sfruttarli e sedurre il ragazzo di cui si era innamorata. In effetti, non capivo davvero cosa avesse che non andava: era molto carina, sicura di sé, spontanea ed estroversa. Lavorava e aveva viaggiato un po’ per il mondo, quindi la sapeva lunga su molte cose e non mancava certo di intelligenza. L'avvenente showgirl, che però conosceva certamente meglio di lei ciò che vogliono gli uomini, criticava invece quello che la rendeva tanto particolare e che io stessa avevo ammirato: la riteneva troppo aggressiva, troppo intraprendente, troppo esuberante, troppo troppo troppo. Autoproclamandosi paladina della bellezza e della femminilità, aiutata da un gruppo di esperti truccatori, stilisti e parrucchieri, ha dunque deciso di dare una svolta alla vita (e all'aspetto, soprattutto) della ragazza in cerca di aiuto e l'ha trasformata in un'altra persona. Non è un eufemismo, quella ragazza ha davvero cambiato aspetto. Alla fine della puntata, naturalmente, non poteva mancare il romantico epilogo: la giovane, divenuta ormai un essere quasi etereo, fragile e capace di una dolcezza prima impensabile, va all'appuntamento con il ragazzo che solitamente fuggiva davanti a lei, vestita con un abito rosa caramella. I due si sono parlati, si sono lanciati languide occhiate al di sopra dei loro calici di vino, si sono timidamente rivolti qualche tenera parola; lo spettatore poteva chiaramente immaginarsi il romantico finale dalle tinte pastello nel quale i due si prendono teneramente la mano e tornano a casa camminando tre metri sopra il cielo.
È stato solo dopo i titoli di coda che ho deciso di prepararmi il mio infuso di menta bollente.
L'intero programma mi ha lasciato l'amaro in bocca, come lo sciroppo che mia madre mi obbligava a sorbire quando la tosse proprio non voleva andare via. Ci ho riflettuto sopra, ho meditato riguardo al messaggio che un programma del genere avrebbe voluto dare alle adolescenti che guardano la televisione in quella determinata fascia oraria. Cosa rimane nell'animo di una ragazza insicura (perché a quell'età si è tutti insicuri, l'autostima solitamente va a farsi una vacanza e lo specchio sicuramente non si dilunga in complimenti) dopo che la protagonista della puntata, ormai ripulita e trasformata in una dolce ragazza acqua e sapone, riesce finalmente a trovare l'amore? La morale di fondo è, molto stringatamente, questa: una donna, per essere davvero donna, deve essere in grado di piacere agli uomini; agli uomini non piacciono quelle troppo intelligenti o intraprendenti; quindi, per avere qualche possibilità di conquistare qualcuno, bisogna mostrare solo il lato fragile di sé, quello più sottomesso e vulnerabile.
Togliendo l'acidità di stomaco, probabilmente dovuta anche all'eccessiva quantità di caffè che bevo ogni giorno, i programmi televisivi di questo genere mi lasciano addosso un terribile sconforto.
La femminilità è una caratteristica innata in tutte le donne: c'è chi la esaspera, chi la nasconde, chi la sfrutta e chi la conserva gelosamente per vederla sbocciare come un fiore di ciliegio a primavera. Non è un'arma né un pass per il successo (sociale, politico o sentimentale), eppure è così che viene spesso considerata, anche dalle donne stesse. Il leit-motiv “mettiti una maglia scollata (o una minigonna, in alternativa) davanti ad un docente e otterrai un voto alto” è comparso ripetutamente durante la mia carriera scolastica e, sebbene sia una leggenda metropolitana, (fidatevi, non funziona), continua a venire annoverato tra le verità assolute della vita. Non credo abbia molto senso discutere di quote rosa, parità di diritti, giornata della donna e contro la violenza sulle donne, se mia figlia (quando e soprattutto se l'avrò) probabilmente un giorno mi chiederà di comprarle una canotta dallo scollo vertiginoso da indossare ad un colloquio di lavoro per avere più probabilità di venire assunta.
Le mie non sono invettive contro la società maschilista che impone il cognome del padre ai nuovi nati e utilizza il genere maschile per i titoli accademici, tutt'altro. La mia riflessione è dedicata a quelle che un giorno diventeranno donne, le giovani che guardano i programmi alla televisione dove affascinanti showgirl spiegano che la sensualità straripante e la dolcezza sottomessa sono i trucchi per arrivare al successo. Non è così. Il brutto anatroccolo non si è tramutato in cigno dopo la pubertà, quando il suo seno è diventato prosperoso. A dire la verità, il brutto anatroccolo non è nemmeno mai stato brutto (ve lo assicuro, i piccoli dei cigni sono meravigliosi nel loro piumaggio color fumo), ma l'ha creduto perché si trovava in mezzo alla figliata di qualche stupida anatra.
Non sono una malcelata veterofemminista, affatto. Ma osservare il modo in cui una donna spinga un’altra donna a cambiare se stessa per piacere a qualcun altro che altrimenti non avrebbe saputo apprezzarla, ritengo sia un’azione vile. Cosa diventeremo, se per apprezzare noi stesse dobbiamo diventare ciò che non è nella nostra natura essere?

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