Incontri e riflessioni

Rieducazione: siamo difronte a un'utopia?

Scritto da Veronica Fagotto il 07 Marzo 2011.

Carcerato uguale mostro. Persona pericolosa. Da evitare.
Un'equazione mentale che appartiene, più o meno consciamente, a molta gente.
Poi una mattina il prof ci propone un progetto: “Il carcere entra a scuola, la scuola entra in carcere”.
La nostra risposta? All'unisono: sììì!!
“Sì” perché è un' esperienza stimolante - diceva qualcuno; “sì” così perdiamo ore di lezione - pensava qualcun altro.
Questo progetto prevedeva un incontro con i detenuti presso la nostra scuola e un altro presso il carcere “Due Palazzi” di Padova.
Inutile dire che, tra i due appuntamenti, quello che più ha solleticato la nostra curiosità è stato da subito il secondo.
Entriamo in carcere: porte e cancelli si chiudono dietro di noi. Occhi sbarrati misti a tanta curiosità.
Dagli inservienti veniamo accompagnati in un'aula, dove ciascuno di noi prende posto.
Arrivano loro: i carcerati, persone che, un po', ci fanno paura.
Da subito, però, mi accorgo che quelli più impauriti in realtà sono loro: dì lì a poco avrebbero dovuto scavare dentro di sé, ripercorrere momenti che molto probabilmente vorrebbero cancellare.
Il tutto davanti a perfetti sconosciuti, pronti a giudicare senza indulgenza.
Visibilmente agitato, comincia a parlare il primo detenuto. È un signore che dice di chiamarsi Ulderico. Ci parla della sua infanzia, di sua moglie, di suo figlio… Ci racconta la sua vita. Alla moglie depressa, che si aggrappa esclusivamente a lui, si aggiungono problemi sul lavoro, responsabilità che gravano tutte su di lui. Insiste su alcuni punti, quasi volesse imprimere nelle nostre menti certi particolari.
La nostra curiosità sale.
“Una notte mi alzo e, colto da un raptus, uccido mia moglie. Tento di fare lo stesso con mio figlio e poi cerco di togliermi la vita”, butta fuori ad un tratto, come tutto d’un fiato, con la voce rotta.
Non riuscivo a credere che quella persona così gentile e sensibile avesse potuto commettere un crimine. E soprattutto “quel” crimine!
Tra una testimonianza e l'altra, l'attenzione si sposta sul tema a mio avviso più interessante ma allo stesso tempo complicato, relativo al sistema penitenziario, ovvero la rieducazione.
I toni si fanno più accesi, le opinioni sono contrastanti. Il confine tra molti di noi e loro si stava facendo sempre più netto.
Personalmente non sono intervenuta: non ho sentito il bisogno, in quel momento, di dire la mia.
Raccoglievo i dati, elaboravo le informazioni e pensavo. Pensavo alla mia posizione “prima” di quell'incontro. Potrà sembrare una considerazione da protocollo, scontata e forzata ma quest'esperienza mi ha in qualche modo costretta a rivedere la mia posizione. Sì, perché se prima dicevo, pensando ai detenuti: “teneteli dentro e buttate via la chiave”, ora non potrei più dirlo. Perché? Per cercare di essere maggiormente efficace, mi piace ricordare la frase di Franco, un detenuto: «Così come una macchina rotta va portata dal meccanico per essere riparata, anche noi carcerati dobbiamo essere aggiustati.».
Lasciare una macchina in parcheggio dal meccanico non ha senso, se il meccanico non la ripara!
Lasciare un carcerato in cella, senza fornirgli degli spunti di riflessione, senza tendergli una mano è ugualmente insensato, perché una volta scontata la pena, varcate le sbarre ed uscito di lì, c'è una buona percentuale che egli commetta nuovamente un reato, in quanto non ha avuto modo di capire dove ha sbagliato e cosa lo ha portato a sbagliare. In aggiunta probabilmente è inasprito e indurito dai lunghi anni trascorsi in cella.
Oggigiorno, in un contesto dove il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri è un problema reale e piuttosto serio, il carcere come rieducazione forse, purtroppo, è solo un'utopia. Io però, continuo a sperare che si prenda coscienza dell'importanza di assistere il detenuto! Così come sono previste figure competenti nella cura di tossicodipendenti o delle persone che soffrono di disturbi alimentari, così io sogno che in un futuro che spero vicino venga istituita la figura dell' “educatore carcerario”.

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