Quello che l'occhio non vede, lo percepisce il cuore
Scritto da anonima il 27 Maggio 2011.
Lui non mi vedeva. Erano passate quasi quattro settimane da quando mi pareva di aver toccato il fondo: di essere arrivata al limite. Quella però era la sera di capodanno ed io, ovviamente, avrei voluto iniziare bene il mio 2011. Mi sono preparata con la mia migliore amica: vestito, tacchi, borsa, trucchi, profumo…
Eravamo pronte a partire per vivere gioiosamente l’indimenticabile notte che chiudeva un anno e ne inaugurava uno nuovo. Doveva essere una notte indimenticabile, ci eravamo promesse. Sì: fu proprio indimenticabile.
Non riuscivo a capire cosa mi stava succedendo. Dopo aver visto quella scena, il mio cuore, pur battendo molto forte era fermo. Non avevo più saliva in bocca gli occhi si erano gonfiati improvvisamente di lacrime e non riuscivo a parlare. Continuavo a fissare, a guardare le sue mani che accarezzavano dolcemente la sua schiena… E le loro labbra unite…
Più guardavo e più sentivo fitte al petto e più non volevo guardare; eppure continuavo a osservare ogni minimo dettaglio. La mia migliore amica mi stava dicendo qualcosa all’orecchio. Io sentito la sua voce, ma non la ascoltavo, finché mi prese con la forza e mi portò via.
Non riuscivo a parlare, a esprimermi… Ero avvolta dalle sue braccia ed intorno avevo gente ubriaca, gente che ballava, gente che si divertiva, gente che si baciava, gente che rideva e quella musica che mi penetrava forte nei timpani quasi a farli scoppiare, eppure era come non sentirla nemmeno.
Le notti successive furono lunghe, molto lunghe. Non trovavo la posizione giusta. In qualsiasi modo io mettessi le gambe, non mi addormentavo: piegate mi davano fastidio, distese anche; coperta avevo caldo, scoperta avevo freddo. Le braccia sotto il cuscino s’informicolavano e così mi sedevo, mi alzavo, facevo due passi in camera, tornavo a dormire ma niente…le lacrime continuavamo a bagnare le mia guance, le mie orecchie, il mio collo, i miei capelli. E non c’era modo di trovare pace, finché il mio corpo, esausto, decideva di dormire.
L’unica cosa che mi consolava, ma che allo stesso tempo mi feriva molto, era sapere che lui quella sera per riuscire a baciare lei, per riuscire a sorridere, per riuscire a “divertirsi” aveva dovuto fumare un bel po’ canne!!! Era il pensiero che più mi tormentava…
“Per stare con me non gli servivano”. “L’ha baciata”. “Per stare con me non gli servivano”. “L’ha baciata”.
Ore e ore con questo pensiero fisso in testa. Un tarlo. I minuti, le ore, i giorni passavano e io sapevo che si vedevano, che stavano insieme, che si facevano le canne insieme… Non riuscivo a sopportarlo! Mi chiedevo con chi avessi trascorso gli ultimi due anni e mezzo della mia vita; mi chiedevo se era ancora il ragazzo che avevo conosciuto e che mi aveva detto di amarmi; mi chiedevo se mi amava ancora, se era ancora quel ragazzo con il quale mi confidavo, con il quale parlavo, con il quale avevo trascorso i momenti più intensi e belli delle mie giornate e non riuscivo a rispondermi, non riuscivo a capire.
Dovevo rientrare a scuola, dopo le vacanze di Natale, ma per fortuna mi ero presa una bronchite. Dico “per fortuna”, perché se non fossi stata malata fisicamente sarei dovuta andare a scuola e non ce la facevo proprio. Ogni giorno la solita solfa; lo stesso tarlo ad arrovellarmi ogni notte, ogni giorno ed io, chiusa in casa, neanche la voglia di mangiare, di lavarmi, di pettinarmi… Un automa.
Poi arrivò il momento di rientrare a scuola. Temevo l’uscita dal “guscio” che mi ero creata, invece a scuola almeno mi distraevo. Dovevo studiare e questo teneva impegnata la mia mente e soprattutto non dovevo farmi vedere così triste. Non volevo!
Piano piano ho iniziato a distrarmi, ho ripreso a vivere e siccome mi svegliavo presto per andare a scuola, la sera intorno a mezzanotte riuscivo già ad addormentarmi. Stavo meglio ed ero un po’ più serena. Avevo deciso di lasciarlo perdere e di andare avanti per la mia strada, ignorandolo, anche se sapevo di essere bugiarda con me stessa, facendo così.
Un giorno poi finalmente mi ha visto.
Non era più con quella ragazza: l’aveva lasciata perdere da un po’ e mi ha chiesto se potevamo vederci. Era bello, come sempre. Ci siamo salutati con due baci sulle guance ed io ho sentito un brivido percorrermi la schiena. E voglia di urlare, di piangere, di baciarlo, di abbracciarlo, di mandarlo a quel paese… Cinque miliardi di emozioni tutte insieme, contemporaneamente.
Quel pomeriggio abbiamo parlato tanto, ma siamo stati anche tanto in silenzio. Ho risposto alle sue lacrime con un “Non importa: anche io ho sbagliato in tante cose…”. E’ il perdono - l’ho capito quel giorno - la cosa che mi rende più felice.
Lui ha smesso di farsi le canne, di essere il testa da cavolo che era prima. E’ tornato quello che era quando l’ho conosciuto, perché... perché quando si ama davvero, quando si vivono emozioni vere, quando senti di stare bene, certe cose non ti servono!
Lo ripeto sempre: io sono stata male, perché la delusione da parte di una persona che ami ferisce, e ferisce profondamente; ma forse è stato più male lui. E’ infatti più brutto deludere se stessi, perché perdonare il male fatto a sé e alla propria vita è più difficile che perdonare gli sbagli degli altri…