Scritto da Elena Toffoletto
il 03 Maggio 2011.
Ma non per tutti gli ulivi finisce così. A volte i mafiosi bruciano tutto e occorre ripiantare. L’ulivo, però, contiene una saggezza antica: il suo tronco nodoso si staglia verso il cielo e ora, nell’immenso terreno appartenuto un tempo alla cosca sopracitata, sono nati anche altri ulivi. I loro frutti, verdi e carnosi, sono finiti, insieme ai taralli calabri, sulla tavola di Tiziana Di Masi che, recentemente, al teatro Russolo, ha accompagnato il pubblico in un viaggio interessante e coinvolgente, a contatto diretto con i prodotti delle terre sottratte alle mafie dopo l’entrata in vigore della legge riguardante la confisca dei loro beni mobili ed immobili, voluta, e faticosamente ottenuta, da
Libera. Associazione, nomi e numeri contro le mafie, nata nel 1995 (e presieduta da Don Luigi Ciotti), come risposta civile alle stragi di Capaci e Via d’Amelio.
Dopo l’antipasto, a base di taralli e olio, si passa alla pasta di grano saneto, coltivato dai volontari di
Libera, che, organizzati in cooperative, lavorano instancabilmente i terreni di cui i camorristi siciliani erano proprietari. Anche a questo tipo di grano è capitata una strana storia. Era stato seminato a ottobre e, nel mese di febbraio, tempo della raccolta, la mietitrebbia, comperata con il denaro ricavato da una colletta tra i volontari, misteriosamente si blocca. Bisogna notare che l’attrezzo agricolo in questione era stato considerato funzionante (e in realtà lo era) fino al giorno prima della mietitura… Il sindaco allora si ingegna e compie un’azione dimostrativa: decide di cogliere il grano assieme ai volontari e alle forze dell’ordine, servendosi solo di falci e a mani nude. Nei giorni successivi la mietitrebbia viene sostituita e le spighe sono pronte per essere ordinate in fasci.
Come secondo, ecco una favolosa zuppa di cicerchie, un cereale coltivato nell’orto dell’agriturismo di Portella della Ginestra a Palermo, confiscato a Cosa Nostra, al quale, ora, è annesso un centro ippico dedicato a Giuseppe di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido, all’età di sette anni, da Giovanni Brusca (colui che azionò la bomba a Capaci), perché figlio del collaboratore di giustizia Santino di Matteo.
Non poteva mancare la mozzarella di bufala, proveniente dalla cucina dello stesso agriturismo, nella quale, ora, lavorano alcuni ragazzi diversamente abili e che porta il nome di
Nuova Cucina Organizzata
(NCO). Anche alla mozzarella di bufala è legato un episodio degno di nota: essa infatti era stata data in dono ai rappresentanti di una commissione della Camera dei Deputati in visita in Sicilia, i quali, credendola nociva, la lasciarono sui sedili del treno. Questa mozzarella ha potuto essere gustata pienamente solo l’anno scorso in occasione della Giornata della Memoria e dell’Impegno per le vittime di mafia a Potenza.
Ed infine il dolce: un favoloso torrone con miele e nocciole che giungono dalle arnie e dai noccioleti che circondano la “Cascina Bruno e Carla Caccia” in ricordo del magistrato Bruno Caccia (assassinato a San Sebastiano da Po, in Piemonte, dal boss della ‘Ndrangheta piemontese Domenico Da Fiore) e di sua moglie. “Con quel giudice non si poteva parlare”, si difese Da Fiore all’epoca del processo.
Il caffè non viene dai terreni confiscati, ma molto spesso, per rivendicare il diritto di proprietà, i capi delle cosche ripartono all’attacco proprio offendo proprio quella bevanda, ottima a fine pasto, ai nuovi proprietari. Ecco allora che alcuni locali, decisi a combattere contro la criminalità, hanno esposto la scritta: “IL CAFFE’ PAGALO DA TE (NON SI SA MAI)”. Buon appetito, allora, con la consapevolezza che le mafie stanno mettendo radici anche nel nord Italia e si possono combattere soltanto con la forza, attiva e proattiva, della collettività.