Incontri e riflessioni

Forse lì, tra le nuvole...

Scritto da Elisa Tasca il 11 Settembre 2011.

Nella vita conosciamo moltissimi tipi di persone: persone a cui teniamo tanto, persone che ci fanno sorridere e che ci aiutano nei momenti più brutti, persone che vorremmo vedere sempre ma che vivono lontano, persone con cui abbiamo fatto pazzie o con cui abbiamo riso, pianto, condiviso momenti belli e brutti; persone con le quali ci capiamo al volo, con un semplice sguardo; persone delle quali ci innamoriamo.
Poi ci sono le persone che ci lasciano “l’amaro in bocca” da subito; persone che ci deludono; persone con le quali litighiamo ma che, per il legame fortissimo che abbiamo instaurato,  non vorremmo perdere per nessun motivo al mondo; persone che abbiamo  conosciuto una sera, ma di cui non ricordiamo neanche il nome forse perché non sono indispensabili nella nostra vita.
E purtroppo ci sono anche persone che avremmo voluto conoscere, ma che il destino ha deciso non incontrassimo mai. Sappiamo che loro ci hanno amati anche se ancora non esistevamo, sappiamo che ci aspettavano ancor prima di venire al mondo.
Spesso penso a chi non ha potuto conoscere i propri genitori, i propri zii, i propri cugini, i propri nonni. Penso a quanto la vita sia stata crudele e ingiusta e mi chiedo secondo quale criterio decida di “risparmiare” uno e di “colpire” l’altro.
Il sentimento che ci lega a queste persone credo sia uno degli amori più grandi che si possano provare: un amore incondizionato, puro e vero, che nessuno ha imposto. Non è un volersi bene a “pelle”, conoscendosi gradualmente. Nasce con noi.
Nella mia sfortuna, in quanto non mi è stata data la possibilità di conoscere tre dei miei nonni, mi ritengo fortunata per averne conosciuta almeno una. Ogni tanto mi capita di chiedere ai miei genitori com’erano i nonni che non ho mai visto, di raccontarmi cosa facevano, com’erano come genitori, e chiedo perché la morte li abbia strappati dalla vita così precocemente. Pongo e mi pongo instancabilmente le stesse domande da anni, ormai.
Sebbene fossi piccola, rammento invece ogni attimo dei momenti trascorsi con l’unica nonna che ho conosciuto. Ricordo bene il suo volto segnato dalle rughe, i suoi occhi profondi  dai quali si poteva capire come stava,  la sua voce, il suo grembiule blu, la stanchezza di dover stare continuamente seduta su quella poltrona beige perché le gambe erano ormai troppo deboli e non riuscivano a reggerla. Ricordo quando mi diceva che non poteva giocare con me perché voleva riposare, ma io, piccola e testarda com’ero, insistevo e allora mi rimproverava, come è normale che sia, ma poi subito mi sorrideva, perché sapeva quanto mi piacesse stare con lei.
Ricordo il giorno in cui sono andata a trovarla, in ospedale.  Ricordo l’infermiera che non voleva farmi entrare perché ero troppo piccola. Ricordo i lunghi capelli grigi che la nonna portava raccolti in una lunga treccia che le faceva mia mamma ogni volta che andava da lei.
Ricordo quel giovedì pomeriggio: il cielo coperto dalle nuvole, il vento che muoveva insistentemente gli alberi. Ricordo d’esser scesa dal pulmino giallo che ogni giorno mi riportava a casa dopo una giornata di scuola. Ricordo lo sguardo della mamma diverso dal solito: “Che succede, mamma?!”… “ Vieni dentro, Eli”.
Mi ha tolto lo zaino, lasciandolo cadere sul freddo pavimento in cotto della cucina, mi ha presa in braccio e fatta sedere sul tavolo. Lei, accanto a me, sulla sedia, cercava di spiegarmi che non avrei più rivisto la nonna con cui trascorrevo le giornate parlando e  giocando.
Ricordo il funerale, l’ultimo saluto; ricordo la gente vestita di scuro con lo sguardo cupo che si avvicinava a me, mi parlava, ma io non ascoltavo, pensavo ad altro, magari a quando avrei potuto rivederla; ricordo la mamma che mi ha presa in braccio e mi ha abbracciata. Così mi sono allontanata ed è stata l’ultima volta che ho visto mia nonna.
Ricordo i primi giorni senza di lei. Il silenzio assordante che percepivo. Un vuoto nel cuore che pesava. Troppo.
Da piccola credevo che ogni persona che ci lasciava fosse sopra  una nuvola diversa e occupasse le giornate come usava fare quando era in vita. Ora sono cresciuta e le cose cambiano: ci si pongono tante domande e non sempre si trovano risposte che soddisfino; non si sa cosa sia vero e cosa no; spesso non si sa a cosa credere...
Perciò, perché abbandonare questa strana “certezza” e non crederci più?
Come da piccola, alzo gli occhi al cielo e sorrido.

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