perderò un altro ultimo treno porgendoti l'ultimo fiore purtroppo sono in ritardo e smetterò di cantarmi bugie
e brucerò tutti i miei scritti
non c'è spalla a cui possa appoggiarmi metodo che aiuti a studiare caramella che mi faccia star meglio perderò un altro ultimo treno
aggiungo la delusione alla lista
e non c'è sbronza che la possa curare o preghiera che allievi nell'anima moritura e pungente (soprattutto la sera) l'escludere dinnanzi alla morte l'uomo e le sue dignità ho il diritto di sapere che muoio
ho il diritto di sapere che muoio
e stare in piedi con le mani in tasca in silenzio nei cimiteri a guardarti inciampare e mentre cadi si solleva la gonna
mi chiedo perchè fra tutte ste tombe e tutti sti fiori
io mi ostini a guardarti il culetto
e mi chiedo perchè, vedi qui giaccia mio nonno sepolto dopotutto i miei nodi vengono al pettine ci girano intorno a farne su un cappio
lo sciolgo, con noncuranza sapessi a me, sapere che muoio che mi annoio, sapere il sapore del sale dell'inutilità, dell'ignoranza di una vita tranquilla, magari... di una spiccata caratterizzante lentezza
l'inquietudine, il rifiuto, la fuga la noia, dattiloscritta, nei lumi, i pozzi, gli strali, nei fiori, le fabbriche, i muri nei bar, alle feste, per terra
il mio ramo spezzato il mio fiorellino sbocciato dammi la mano, ti sei sbucciata il ginocchio
“e così fredda” ti dissi e subito pensai questa poesia
La Repubblica: “Bilancio sempre più grave. Il premier: - Temiamo diecimila morti -. Primi aiuti, gli americani stanziano dieci milioni di dollari”.
Ansa: “Sono circa un milione i senzatetto dopo il terremoto che ha colpito il Nepal sabato scorso […] Secondo il Centro nazionale delle operazioni di emergenza, circa 6,6 milioni di persone sono state colpite in varia misura dal sisma in 34 distretti”.
Il Secolo XIX: “Terremoto in Nepal, migliaia di morti e feriti, preoccupazione per i senzatetto. […] Sono 39 gli italiani che ancora non sono stati rintracciati”.
È questo che si è letto sui giornali meno di un mese fa, dopo la tragedia del 25 aprile, avvenuta nella regione dell’Asia meridionale. Ma non basta la sensibilizzazione rispetto ciò che è accaduto; vorrei farmi promotore di una campagna per sostenere la popolazione nepalese. Sono venuto a conoscenza di questo progetto dopo l’arrivo di un'e-mail da parte di una mia ex prof.ssa di lettere ed ex insegnante del Marco Belli.
Anche l’Istituto “Marco Belli” ha partecipato all’incontro della Rete delle Scuole Superiori, indetto per commemorare i 100 anni del genocidio degli Armeni e promosso dall’Associazione “Italia–Armenia” di Padova (Relatrice prof.ssa Flavia Randi)
Pochi giorni fa è accaduta una disgrazia che mi ha fatto riflettere molto. Lasciare questo mondo alla sola età di 21 anni, perdendo la possibilità di realizzare tutti i propri sogni, di portare a compimento tutti i propri obbiettivi e di vivere tutto ciò che la vita può donare giorno dopo giorno, è davvero ingiusto. La vita stessa, a volte, è davvero ingiusta. Un momento si è qui e l'istante dopo non lo si è più; il momento prima si progetta la propria vita, si organizzano i piani per il proprio domani con la speranza di riuscire a renderli realtà, a viverli, mentre nell'istante successivo tutto si spegne, scompare eternamente. Questa e molte altre disgrazie di questo genere che si sentono tutti i giorni fanno capire quanto fugace ed imprevedibile sia la vita che, per questo motivo, dovrebbe sempre essere vissuta fino in fondo.
Con questa iniziativa vorremmo illustrarvi una realtà che sentiamo molto vicina e che parla del diritto allo studio per studenti dell'
IDP(Internal displaced person, Rifugiati di guerra) della nostra età, che vivono nella zona di Mugunda, in Kenya.
In seguito ad alcuni scontri tribali dovuti alle elezioni presidenziali del 2007, oltre 9mila persone si sono rifugiate nell'area di Mugunda, dopo aver perso tutto. In questa zona vi è la parrocchia di un prete di Concordia-Sagittaria,
“Every time you use Facebook or Whatsapp you are losing something”
Potrebbe essere lo slogan di una nuova campagna contro I social network. Potrebbero inserire un cartellone con questa frase tra quelli pubblicitari ai lati della strada, cosicché, tra la w capovolta del McDonald’s e l’occhio gigante dell’ottica più vicina, si possa scorgere qualcosa che susciti un pensiero diverso da “ho fame” o “mi serve un nuovo paio di occhiali”.
Tu-tum tu-tum tu-tum tu-tum...
Era come un piccolo treno, un piccolo treno dalle intense emozioni.
Fuggente, come una foglia portata dal vento, come l'ultimo raggio di sole. Inaspettato come il tuono che preannuncia la tempesta.
"Mamma, cos'era?" "E' venuto a farsi sentire".
Una felicità immensa mi ha invaso, assieme all'incredulità.
Lui con i suoi forse quindici centimetri ed il suo nitido "tu-tum tu-tum" era riuscito a far fermare il mondo, a prendere posto, a farsi sentire con un potente "Ehi, ci sono anch'io!". Poi, di nuovo il silenzio a tenere sospeso quell'attimo che nella mia mente verrà ripetuto più e più volte, fino a renderlo eterno.
Oggi ero dal dottore e c'era tanta gente, ma sono rimasta particolarmente colpita da due scene: due persone completamente opposte, ma l'assenza di una non ci farebbe notare la particolarità dell'altra.
Ero seduta tra tanti anziani, come al solito, ma questa volta c'erano anche due donne giovani con i loro figli: una se ne stava composta e rigida, guardando il suo bel telefono ultimo modello. Suo figlio, accanto lei, giocava con il tablet, urlava e lei lo rimproverava ad ogni mossa senza spiegargli perché il suo comportamento fosse sbagliato. Dall'altra parte, una donna con due figli maschi. Avevano un giornalino appena comprato in edicola e lei gli insegnava i numeri, spiegava loro varie cose, li faceva scrivere e disegnare con una dolcezza infinita. I suoi bambini attaccavano delle figurine in quel giornale, e appena cadeva una cartina a terra, si giravano a guardare la madre e poi la raccoglievano. Quel gesto, secondo me, racconta un gran rispetto nei suoi confronti poichè probabilmente lei aveva spiegato loro che la propria stanza, e così anche i posti pubblici, si tengono puliti.
Era estate e già i carabinieri ci avevano avvertito che da un po’ di sere giravano ladri nel mio quartiere, ma ero troppo piccola per capire.
So che una mattina mi sono svegliata e fuori dalla mia camera c’erano due carabinieri pronti a portarmi in ospedale per capire quale strana sostanza avevano usato per farci addormentare.
Erano riusciti ad aprire le sbarre in ferro (che ho quasi in ogni finestra di casa mia) e sono entrati dalla sala per un buco piccolo. Ovviamente prima avevano addormentato i miei due cani che avevo fuori.
Ora ho 18 anni e non resto a casa da sola, non dormo mai da sola e di notte mi chiudo dentro la mia camera e non vado nemmeno in bagno. Dopo quella notte hanno cercato di entrare altre volte e una volta anche l’estate scorsa.
L’anno scorso a Natale ho chiesto l’antifurto per la mia camera e ora mi sento “più sicura”.
Ci prova, ci riprova, non ce la fa, ma non si arrende e ritenta. Tanti sforzi, tanti risultati. Sì, perché i suoi non sono fallimenti. Un errore, per lei, è solo un risultato utile per potersi avvicinare sempre più al successo. Non sto parlando di una donna d'affari e della sua scalata al successo in ambito lavorativo. Lei è mia nipote, che pochi giorni fa ha compiuto dieci mesi di vita e il suo obiettivo a breve termine è dire “papà”, “mamma” o “nonno/a” e riuscire a reggersi da sola o a fare i primi passi.
“IN CARCERE, CON RISPETTO PARLANDO, STAVO TRA PERSONE PERBENE” - cit. Salvatore Lo Jacono, dal film “Dov'è la libertà” di R. Rossellini
Abbiamo superato undici cancelli rosso fuoco prima di entrare in quell'alto e imponente edificio che si vede passando per l'autostrada, a Padova. Poi i primi sguardi malinconici e persi nel vuoto dei detenuti che ci scrutavano da dietro le inferriate e gli sguardi tesi e spesso frustrati delle guardie penitenziarie. Gianluca, Lorenzo ed Erion ci hanno raccontato la loro storia, poi si sono aggiunti Biagio e Andrea, anche se “fuori programma”.
Gianluca è uno di quei classici uomini bonaccioni, piuttosto grassottelli e quasi sempre belli rubicondi. Lui non lo è, però. Probabilmente lo era, ma ora è pallido e il suo volto è solcato da due grosse occhiaie. Lui non si sarebbe mai pensato di finire in carcere: era un medico chirurgo e conduceva una vita tranquilla tra famiglia, lavoro e rugby, la sua grande passione. Poi il primo figlio e la moglie con una depressione post partum.
Scritto da Massimo Bozza, 5AE
il 22 Febbraio 2015.
Ho quasi vent’anni, sono cresciuto a pane Nutella e pasta al pomodoro della nonna. In questo seppur breve lasso di tempo, ho visto Genova messa a ferro e fuoco da dei black bloc, e poliziotti massacrare di botte manifestanti inermi. Ho visto crollare due grattacieli colpiti da aerei pilotati da uomini guidati da qualche ideale che ci vogliono far passare per religione. Ho visto centinaia di bandiere della pace appese alle finestre, ma di quelle bandiere che io terrei sempre fuori in vista, nessuno sembra ricordarsi. Ho visto morire il Papa che ha segnato un’epoca.
Scritto da Chihiro e Laura Zoccolan
il 01 Febbraio 2015.
Due studentesse rispondono alle domande poste loro dopo la visione del filmDeparturesdi Yojiro Takita: la prima chiedeva di esprimere pensieri e sentimenti nei confronti della morte, la seconda invitava a riflettere e a raccontare il proprio sogno, il proprio progetto di vita. prof.ssa G.Bellomo
Chihiro
I miei pensieri riguardo la morte sono filamenti sottili che si spostano nella mia mente come galleggiassero nel lago della mia insicurezza. Non hanno spessore, pertanto non li definirei veri concetti o pensieri. Sono come dipinti in un quadro, e non riesco a catturarli. Cercherò comunque di sforzarmi e scrivere belle idee al riguardo.
Se penso alla morte, senza inserirci alcun sentimento, la immagino come un buio eterno. Se invece penso alla morte con un sentimento di speranza, la immagino come una grande sala d'aspetto, in attesa della chiamata che forse mi farà rinascere, magari in luce, o forse in tempo e spazio che viaggiano eterni nell'universo.
Un po' di tempo fa, mentre facevo la mia corsa giornaliera, incontrai un signore che mi fermò perché incuriosito dalla maglia che indossavo. Quel giorno avevo indossato la maglia dei Nirvana che mi aveva regalato un mio amico. Ci fermammo a parlare, perché era stupito del fatto che, ancora oggi, ci fossero ragazzi che conoscessero il "mondo" di quando lui era adolescente.
Nella nostra chiacchierata mi raccontò di quanto erano diverse le cose ai suoi tempi. Non c'erano l'iPod, l'mp3 o telefoni per ascoltare la musica, bensì la radio, che trasmetteva la musica più in voga. Allo stesso tempo, molti gruppi cercavano di sfondare e quindi erano più propensi a girare il mondo per promuovere la loro musica. "Non pensare che gente come i Rolling Stones siano arrivati dove sono oggi grazie ad un talent show...", mi disse ridendo.