Progetti e attività

Una settimana con Sharon

Scritto da Giada Berti, 4CS il 05 Marzo 2011.

Ore 16:30. Una corriera bianca attraversa il piazzale e io mi dimentico tutte le parole che conosco in inglese, tutte le frasi di benvenuto che mi ero preparata nei giorni precedenti. Il mio cuore inizia a battere all’impazzata: sono arrivati gli Americani! Sembrava lontano questo giorno e invece eccomi qui ad aspettare finalmente Sharon a braccia aperte, pronta a conoscerla e a trascorrere insieme a lei nove giorni, 24 ore su 24. Vedo scendere le scale un personaggio di un fumetto con il viso tondissimo, gli occhi a mandorla e un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Mi corre incontro, inondandomi di allegria. E’ bastato questo perché tutte le paure che in questi giorni mi avevano angosciata sparissero come per magia, tanto che abbiamo iniziato a parlare come due vecchie amiche che non si vedono da tanti anni.
All’inizio non era molto facile starle dietro, perché parlava molto veloce, ma un po’ alla volta e con un po’ di allenamento ho imparato a tenere il suo passo. Pensavo che fosse molto più difficile parlare con una persona in un’altra lingua, invece mi sono accorta che riuscivo a capire quasi tutto, o almeno il senso delle frasi.
La prima sera ho scoperto che non sapeva usare forchetta e coltello. Mi sembrava una cosa impossibile, poi ho pensato che, in effetti, dato che sua madre è cinese e suo padre giapponese, sin da piccola è stata abituata a mangiare solo con le bacchette cinesi, ovvero i “chopsticks”. Insegnarle come impugnare forchetta e coltello è stata davvero un’ardua impresa, ma alla fine è riuscita a imparare molto bene! Sharon è rimasta affascinata dalle ricette italiane di mia madre, che già una settimana prima aveva iniziato a cucinare come se avesse a pranzo un esercito di persone: pasta, dolci, polpette, lasagne, tortelli, risotti, tiramisù e tutto quello che di più tipico si può trovare in Italia. Sharon ha gradito tutto, ma la cosa di cui più andava matta era il gelato. Continuava a ripetere tutto il giorno “I love gelado”, finché non l’accontentavo e l’accompagnavo a prenderne uno enorme: minimo tre palline!
Stando con loro, ho scoperto che per i nostri ospiti americani era stranissimo vedere che quando ordiniamo un gelato o un caffè ci sediamo e aspettiamo: loro mangiano o bevono mentre camminano; perfino quando ordinano un panino al Mc Donald lo mangiano in strada, andando in giro per la città o facendo shopping!
Le città che abbiamo visitato in questi giorni, ovvero Venezia, Verona e Trieste, sono piaciute tantissimo agli studenti americani; soprattutto Verona. Sono rimasti affascinati dall’architettura, completamente diversa dalla loro, e continuavano a ripetere che non avevano mai visto niente di più antico se non in un museo.
L’ultima sera è stata la più triste, insieme al giorno dopo: il sabato, infatti, li abbiamo accompagnati alle 6 della mattina in stazione delle corriere a Portogruaro e li abbiamo salutati, perché da lì sarebbero partiti per l’aeroporto.
La sera prima della partenza dovevamo salire sul palco una coppia alla volta parlando l’uno dell’altro e riportando le varie impressioni sull’esperienza vissuta. Noi, per la verità, non siamo riuscite a dire molto! Sharon ha preso il microfono e ha detto “Ciao”, poi, guardandomi, l’ha passato a me, che le ho risposto “Hi”. E così…siamo scoppiate a piangere. Sapevamo entrambe che quella sarebbe stata l’ultima sera in cui ci potevamo parlare, potevamo ridere e scherzare ed eravamo consapevoli che la settimana era volata in un lampo! Non è facile dire “arrivederci” ad una nuova amica, quando sai che vorresti conoscerla meglio, farle ancora mille domande; non è facile dire “arrivederci” ad una sorella acquisita, sapendo che dovrai aspettare un mese per rivederla.
Ora comincia il conto alla rovescia: andrò da lei a New York e questo basta per far comparire sul mio viso lo stesso sorriso che aveva Sharon il primo giorno che l’ho vista. Aspettami: sto arrivando!